A cura di Giusy Barbera, Rocco Chinnici, Giovanni Garofalo
A distanza di quattro mesi il Cai di Erice ritorna sulle Madonie. Le abbiamo lasciate innevate e con gli alberi spogli. Adesso le ritroviamo nel loro splendore primaverile: verdi faggi, prati fioriti, bianche rocce e daini, tantissimi daini. Lasciate a casa ciaspole, catene e abbigliamento da neve ci apprestiamo a questa doppia traversata.
Il meteo dei giorni che precedono la partenza ci danno pioggia nel pomeriggio di sabato e bel tempo la domenica: che si fa? Così come è stata programmata l’escursione, il sabato dovremmo salire sulle zone più alte e quindi, più esposte, sino a raggiungere Pizzo Carbonara per poi scendere a Piano Battaglia. La domenica il percorso è previsto più basso e percorribile in minor tempo. La decisione è presa: si invertono i due percorsi e il sabato si parte presto! La scelta si rivela vincente: il sabato mattina è asciutto e a tratti soleggiato, dopo pranzo cade qualche goccia giusto per farci uscire dallo zaino l’attrezzatura per la pioggia (altrimenti che l’abbiamo portata a fare?). Il temporale arriva di pomeriggio ma già siamo dentro il Rifugio Marini. Il tempo della domenica invece è sereno e soleggiato.
Sabato 28 maggio.
L’appuntamento è alle 8:15. Alcuni di noi preferiscono partire il venerdì, dormire in zona e alzarsi con relativa comodità. Altri, per scelta o per necessità, arrivano il sabato mattina, con gli occhi ancora assonnati… Al gruppo di Erice si sono aggiunti 2 soci di Caccamo, 1 di Petralia, 1 di Siracusa e 4 di Acireale, totale 22 escursionisti.
Il nostro cammino inizia puntuale, ci muoviamo in salita verso sud lungo le pendici di Cozzo Luminario per poi deviare sulla stradella che porta verso piano Pomo.
Qui una rapida visita agli agrifogli giganti è d’obbligo. Riprendiamo il cammino verso sud lungo il Sentiero Italia segnavia CAI 552. Alla nostra sinistra ci si affaccia sulle Rocche di Gonato e le gole del Torrente Canna, uno dei maggiori affluenti del fiume Pollina. Oltre si vedono monte Catarineci e in lontananza i Nebrodi. Davanti a noi svetta Pizzo Canna e, dietro di lui, la zona Quacella – San Salvatore. A destra, invece, si innalza maestoso il monte Ferro la cui vista ci accompagnerà sino all’arrivo. Incontriamo spesso gruppi di daini, alcuni pascolano tranquilli finchè restiamo a distanza, altri li vediamo correre lungo pendii scoscesi. Quello dei daini e dei cinghiali è diventato un grosso problema per le Madonie. La sovrappopolazione provoca danni alle colture e le autorità stanno pensando a un piano di contenimento numerico con abbattimenti selettivi.
Dopo alcuni chilometri di sali e scendi raggiungiamo la selletta del Pizzo Canna. A questo punto il nostro percorso devia verso destra (segnavia CAI 554) scendendo fino al torrente Faguara. Guadato il torrente, saliamo lungo un sentiero che lo costeggia sino a giungere a Case Faguara dove ci fermiamo per la sosta pranzo. Questo gruppo di costruzioni è uno dei vari “màrcati” presenti nella zona, dove i pastori con i loro animali passano la stagione calda, e ancora oggi producono la tipica provola delle Madonie e la ricercata ricotta salata al “basiliscu”.
Riprendiamo il cammino e già qualche goccia di pioggia ci ricorda che il meteo raramente fa sconti, anche a gente intrepida come noi. Indossiamo l’abbigliamento da pioggia e affrettiamo il passo verso la meta ormai vicina. Fortunatamente la pioggia, poca e intermittente, ci permette di arrivare quasi asciutti al Rifugio Marini dove ci fermeremo per la notte. Nel pomeriggio, come previsto, piove. Ma noi siamo ormai al riparo.
La sera tutti a tavola a gustare le prelibatezze che ci propone il menù del Rifugio.
Domenica 29 maggio.
Oggi splende il sole e l’aria del mattino è fresca; siamo rimasti in 18, mancano i 4 soci di Acireale che sono rientrati ieri pomeriggio. Dopo una ricca colazione lasciamo il rifugio alle 9 e iniziamo la nostra avventura. Imbocchiamo il sentiero 552 attraversando la prima dolina della giornata, la Battaglietta. In molti ce la ricordiamo piena di neve e di gitanti nei loro variopinti abbigliamenti. Oggi la ritroviamo come un tappeto verde e deserta. Raggiungiamo il margine del vallone di Zottafonda (seconda dolina), deviamo verso NO lasciando monte Ferro alla nostra destra e ci dirigiamo verso Pizzo Carbonara sul sentiero 555. Tratti di fitta faggeta si alternano ad altri di terreno pietroso. Incontriamo pure qualche esemplare di Acero montano ultra centenario di ragguardevoli dimensioni. Ancora qualche piccolo nevaio resiste al caldo incipiente. Qualche turista straniero ci supera, tra questi una giovane olandese in gonna e ciabatte…
In poco tempo raggiungiamo il Carbonara 1979 m, la montagna più alta della Sicilia, superata soltanto dall’Etna, che però è un vulcano. Il panorama è spettacolare, possiamo ammirare, in ordine di altezza, Pizzo Antenna o della Principessa 1977 m – Pizzo Palermo 1974 m – Monte Ferro 1906 m – Pizzo Scalonazzo 1904 m che insieme al Carbonara sono le vette più alte delle Madonie.
Si vedono l’Etna, i Nebrodi, i monti del palermitano. Dopo le foto di rito riprendiamo il cammino verso ovest fino ad affacciarci da una cresta rocciosa che scende a precipizio su Piano Zucchi, 750 metri più sotto, quello che dalle nostre parti viene chiamato “sbalanco”… Di fronte a noi, il massiccio di Monte Cervi.
Oggi il percorso è lungo e non abbiamo molto tempo per soffermarci ad osservare le tante meraviglie che andiamo incontrando. Adesso si punta decisamente verso est. Siamo sulla zona settentrionale del massiccio del Carbonara. Sotto i nostri piedi scorgiamo Isnello e facciamo a gara per indovinare dove si trovano Cefalù, Gratteri, Gibilmanna.
Il percorso si fa impegnativo, su un fondo pietroso si va per doline con un continuo sali e scendi. Ad un tratto facciamo un incontro tanto inatteso quanto straordinario: un cucciolo di daino, un cerbiatto che somiglia a Bambi, forse appena nato. Sta lí immobile all’ombra di un sasso, e poco distante un altro. Ci avviciniamo con cautela, il tempo giusto per scattare una foto. La tentazione di accarezzarli é forte ma evitiamo assolutamente, lasceremmo il nostro odore e le madri potrebbero non riconoscerli più e abbandonarli. In questa stagione le mamme di daino si allontanano dai piccoli per non attrarre i predatori e per nutrirsi, ma tornano più volte al giorno per allattarli.
Un’altra meraviglia che non si può fare a meno di ammirare è una dolina nel fondo della quale crescono dei faggi con fusti altissimi. Diversamente dalla faggeta circostante, costituita in prevalenza da alberi bassi in forma arbustiva, il particolare microclima della dolina, l’assenza di vento e il bisogno di luce creano questi spettacolari contrasti.
Attraversiamo la Valle Pelata, lasciandoci a destra Pizzo Costio. Sotto Croce di Monticelli finalmente raggiungiamo un sentiero che poi diventa stradella. Era ora! Tutti questi chilometri sui sassi hanno messo a dura prova le nostre articolazioni. Adesso il percorso è decisamente più agevole e in discesa. Raggiungiamo Il rifugio Crispi di Piano Sempria intorno alle 18. Sono passate 9 ore dalla partenza e, a parte mezz’ora di sosta pranzo, abbiamo fatto soltanto brevi soste di raggruppamento. Siamo tutti stanchi ma interi e soddisfatti: questo è importante! Dopo la rituale foto di gruppo con le bandiere, passiamo ai ringraziamenti e ai saluti. Il grazie più grande è dovuto al nostro caro Giovanni che ha organizzato e guidato queste due escursioni in maniera inappuntabile. Grazie anche ai co-direttori Rocco, Roberto, Antonio e Franco della Sottosezione di Caccamo che hanno tenuto coeso il gruppo.
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