Sentiero Torretta Pepoli
Mura ciclopiche, antichi castelli ed edifici storici, e poi la visita al borgo di Erice, con il suo tradizionale artigianato artistico e i dolci di mandorla.
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Siamo a Erice vetta, nella piazza che prende il nome dalla vicina Chiesa di San Giovanni, tra le più antiche chiese ericine. La costruzione religiosa, posta innanzi ad un panorama di stupefacente bellezza, è riconoscibile dalla sua cupola bianca che svetta solenne all’estremità orientale del borgo. Si presume che il suo impianto originario risalga al XII secolo; è stata più volte restaurata e ampliata nel corso del tempo, pur conservando il suggestivo portale d’ingresso tardogotico, fino a divenire oggi un moderno auditorium, che conserva al suo interno capolavori dell’arte rinascimentale. Lasciata la piazza, si percorre il camminamento per raggiungere l’ottocentesca Torretta Pepoli, fatta costruire dal conte Agostino Pepoli, da cui l’edificio prende il nome. Posto su un dirupo, in una incantevole posizione panoramica (che spazia dal Golfo di Bonagia alla città di Trapani e alle sue saline), questo edificio, costruito in stile liberty, era destinato a essere un luogo di studio e meditazione. Oggi la costruzione, dopo un attento restauro che l’ha ricondotta alla sua originaria bellezza, mantiene il fascino dell’epoca ed è visitabile.
Sotto il costone roccioso, una pineta (fatta impiantare dal conte, che voleva respirare ‘aria buona’) circonda la base della rocca su cui si erge maestoso e suggestivo il Castello Normanno, sull’antica costruzione del Tempio di Venere, edificio sacro eretto dai Sicani-Elimi (IX-VIII sc. a.C.), e luogo di devozione di tutte le popolazioni mediterranee: ospitava il culto della dea, che rappresentava la fecondità.
Naturalmente posto a difesa della vallata, il castello fu edificato nel XII sec. d.C. dai Normanni. La porta d’ingresso ad arco ogivale è sovrastata da una lapide calcarea rappresentante un’aquila asburgica di Carlo V. Oltre alla sua funzione difensiva, il castello ospitava anche le carceri, i cui locali sono ancora visibili. Oggi la struttura è adibita a luogo di scambio culturale: nelle notti estive è facile farsi incantare dall’ascolto di musica, poesie e canti antichi, avvolti dall’atmosfera seducente del luogo.
Attorno alle torri merlate che anticamente difendevano il castello, sorge il giardino del Balio. La sua struttura riprende quella dei giardini “all’inglese”, con le aiuole circondate da folte siepi di bosso secolare e la vegetazione sparsa costituita prevalentemente da specie della macchia mediterranea come il pino, il frassino, il cipresso, il mandorlo, il leccio.
Il Balio è un vero e proprio monumento naturale creato dalla mano dell’uomo, che ha valorizzato un luogo di straordinario interesse paesaggistico. Affacciandosi da uno dei tanti belvedere che si aprono in più punti ai margini del parco, è possibile ammirare panorami di incredibile bellezza: dal lato sud lo sguardo abbraccia la forma a falce della città di Trapani, attorniata dal mosaico formato dalle saline, le isole Egadi, la laguna dello Stagnone e le coste del marsalese, per terminare con le curve collinari dell’Agro Ericino sulla sinistra. Sul fronte opposto invece, si osservano la cima solitaria di monte Cofano e i monti dello Zingaro, mentre nelle giornate più limpide è possibile distinguere anche la sagoma dell’isola di Ustica.
Il sentiero prosegue in direzione sud-ovest, per poi risalire in direzione di Porta Trapani, una delle quattro antiche porte delle mura ciclopiche, da dove è possibile continuare la visita dell’antico borgo medievale, fermarsi in una delle storiche pasticcerie (per deliziare il palato con i tipici dolci ericini, come quelli di pasta di mandorle, le cosiddette “genovesi” o i “mustazzoli”), o per dedicarsi a un po’ di shopping tra le viuzze antiche: da non perdere i caratteristici tappeti intrecciati e le ceramiche dipinte a mano, testimonianza di una tradizione di artigianato artistico tramandato da generazioni.
Castello
L’attuale struttura risale al XII secolo e fu realizzata utilizzando materiale di un preesistente santuario romano, dedicato a Venere. Vi risedettero i rappresentanti delle autorità regale: il Bajolo giudice civile ed esattore delle imposte, il Capitano Regio e successivamente il castellano.
Fino al XVI secolo, il castello fu piazza reale spagnola, e tra il XVI e XVII secolo venne utilizzato come prigione. Nel 1872 il Conte Agostino Pepoli restaurò a proprie spese le opere di fortificazioni, ricostruì la torre pentagonale, sistemò l’adiacente giardino facendo sorgere il bellissimo parco detto Balio, perché creato sul piano nel quale un tempo risiedeva il Bajolo.
Del periodo romano rimangono solo dei rocchi di colonna, frammenti di fregio calcareo, e resti di un muro di contenimento. All’interno è il cosiddetto “pozzo di Venere” che secondo la leggenda era la piscina dove la Dea faceva il bagno. Alcuni storici lo identificano invece nel luogo in cui le sacerdotesse si immergevano dopo il rito della prostituzione sacra, altri ritengono che sia stata una “favisa”, ovvero una fossa nella quale venivano deposti i resti dei sacrifici offerti alla Dea.
Chiesa di San Giovanni
Sullo sfondo scenico del monte Cofano, tra cielo e mare si eleva l’alta cupola della chiesa di San Giovanni: l’ingresso più antico (ad oriente) è segnato da un portale ogivale (sec XIV), a ghiere multiple, decorato con elementi a zig-zag e preceduto da una originale scalinata.
Probabilmente l’impianto originario della chiesa risale al secolo XII ma subì un rinnovamento nel XV secolo, per essere poi ampliata nel XVII, e decorata con stucchi nel XVIII.
Oggi adibita ad auditorium, conserva nel suo interno pregevoli esemplari di scultura rinascimentale tra cui l’elegante statua di San Giovanni Evangelista (1531) di Antonello Gagini. Vi sono sono inoltre esposti i resti di affreschi medievali provenienti dalla chiesa rupestre di Santa Maria Maddalena.
Le mura di Erice
Le antiche mura, in pietra calcarea, furono originariamente edificate sul lato Nord-Est del sito nell’VIII secolo a.C. dagli Elimi, popolazione di origine incerta; nel VI furono rinforzate dai Punici e, dopo rifacimenti di epoca romana, vennero completate dai Normanni.
A causa delle gigantesche dimensioni vengono definite “cicopliche”.
I resti si sviluppano lungo un percorso di circa 700 metri e si adattano al diverso rilievo del terreno (dai 682 m ai 729 m s.l.m.). Lungo la cortina muraria sono attualmente visibili: sedici torri quadrangolari, dalla lunghezza media di m.45 e di m.2,30 circa di spessore; tre porte denominate Trapani, Carmine e Spada; sei postierle, piccole aperture che servivano come uscita di emergenza o per i rifornimenti.
Su alcuni blocchi sono incise delle lettere dell’alfabeto punico – “beth” che equivale a “casa”, “ain” che significa “occhio”,“phe” che significa “bocca” – che potrebbero racchiudere il significato di: “Le mura hanno occhi per vedere il nemico, bocca per mangiarselo in caso di aggressione e sono la casa sicura per gli abitanti”.
Porta Trapani: viene così denominata perché rivolta verso Trapani. Ha sagoma ogivale ed è inserita tra due robusti bastioni.
Porta Spada situata a Nord, è così chiamata per l’eccidio degli Angioini che presidiavano Erice durante la guerra del Vespro (sec. XIII).
Porta Carmine posta nella piazza antistante la chiesa del Carmine, è sovrastata da una grande nicchia recante una statua acefala in calcare di Sant’Alberto.
Torretta Pepoli
Al Conte Agostino Pepoli, (1848-1910), studioso, collezionista, mecenate, fondatore del Museo a lui dedicato a Trapani, si deve la costruzione, in una posizione suggestiva e panoramica, della cosiddetta Torretta Pepoli, un caratteristico edificio in vaghe forme liberty, destinato a luogo di studio e di meditazione per sé e per i numerosi suoi ospiti tra cui l’archeologo Antonio Salinas, lo scrittore Samuel Butler, il letterato Ugo Antonio Amico, il musicologo Alberto Favara, il ministro Nunzio Nasi.
Recentemente restaurata, oggi la Torretta è destinata ad Osservatorio permanente di Pace e Faro del Mediterraneo. Al suo interno verrà installato un Museo interattivo multimediale consacrato alla storia di Erice e alla sua identità, un innovativo modo di fruizione culturale, un viaggio tra storia, cultura, mito e tradizione.
Dolcini di Erice o Pasticceria conventuale
Portavoce del territorio da cui hanno origine, i dolci della pasticceria conventuale sono preparati con ingredienti locali tipici (mandorle, cedri, limoni, arance, miele). Realizzati secondo le antiche ricette delle suore di clausura dei conventi di San Carlo e Santa Teresa, sono un’esperienza irrinunciabile per chi visita Erice.
Genovesi
Questi dolci devono la loro origine alle monache di clausura dei conventi di San Carlo e Santa Teresa e sono ormai parte integrante per chi decide di fare una visita ad Erice.
Sono dei dolci di pasta frolla ripieni di crema pasticcera che consigliamo di consumare caldi per poter gustare pienamente la loro prelibatezza. Esistono diverse versioni (nutella, ricotta, pistacchio) ma le tradizionali sono di crema.
Mustazzoli
Rappresentativi della tradizione dolciaria conventuale ericina, sono biscotti a base di mandorle e aromatizzati con cannella e chiodi di garofano. Secchi e duri, sono solitamente accompagnati a un vino dolce nel quale si intingono per ammorbidirli.
Vini Erice Doc
Ottenuti da vigneti posti tra i 200 e i 650 m. disseminati nel cosiddetto agro ericino (la zona collinare a piedi del Monte Erice), devono le loro qualità organolettiche alle caratteristiche pedoclimatiche del territorio, rara combinazione di altitudine e prossimità al mare. Inzolia, catarratto, grillo, grecanico, nero d’Avola sono gli inconfondibili frutti di vigneti autoctoni, ma l’Erice Doc oggi si distingue anche per la produzione di ottimi vini da vigneti internazionali.
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